ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

CENTRO
«GINA FASOLI»
PER LA STORIA
DELLE CITTA



La città protagonista

Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Appartamenti privati del Papa, Sala Bologna, Pianta prospettica della città, 1575

Attuale sistemazione della zona del porto vista dal satellite. Il tracciato del Cavaticcio e l'invaso portuale sono visibili all'interno dell'isolato delimitato a nord da via Don Minzoni. Vista zenitale (Google Earth)



IL PORTO E LA SALARA, nei pressi di via Don Minzoni

Dopo i grandi lavori di sistemazione e di ammodernamento del sistema di navigazione fluviale che interessò il naviglio bolognese nel secolo XV con l’introduzione dei sostegni in muratura ad opera di ingegneri lombardi, l’incremento dei trasporti e la distanza del porto che si trovava a Corticella, indussero gli utilizzatori a richiedere un nuovo porto all’interno delle mura e la realizzazione di tre nuovi sostegni esterni. L’autorizzazione a queste opere fu concessa dal papa Paolo III con una bolla del 16 marzo 1547 che consentiva di costituire un apposito “monte” per il finanziamento del nuovo canale.
L’incarico per la progettazione del porto e delle conche esterne fu affidato a Jacopo Barozzi da Vignola e Jacopo Marcoaldi di Bologna. La Darsena, che misurava circa 20 pertiche di lunghezza per 3 di larghezza, vale a dire m. 76x11,4 fu costruita a partire dal 1548. Essa terminava sul lato occidentale con la “porta delle navi”, il grande varco ricavato nelle mura urbane per l’accesso delle imbarcazioni, e sul lato orientale con l’imbocco del canale Cavaticcio, che diramandosi dal canale di Reno alimentava l’invaso portuale.
Due vasti appezzamenti di terreno, il prato di Magone, utilizzato come deposito di legname, e la ripa del gesso, dove venivano ammassate le “zolle di gesso crudo” destinate all’esportazione, completavano l’assetto topografico della zona portuale, assieme alle strade di accesso, la via del Porto, selciata nel 1581 ed uno stradello che traversava il prato di Magone, che divenne, dopo la costruzione dei macelli comunali alla fine del secolo XIX, la via dei Macelli, e che scendeva alla Darsena sul lato meridionale superando un dislivello di circa 8 metri. Sul lato meridionale dell’imbocco della Darsena, a lato della porta delle navi e a ridosso del terrapieno delle mura sorgeva la “casa rossa” ospitante al piano terreno l’alloggio del “catenarolo” custode della grada e della catena del porto. Gli altri due piani erano rispettivamente accessibili attraverso una scala esterna della quale sono stati trovati alcuni resti nei recenti restauri, e dalla strada delle mura.
A ridosso delle mura urbane, di fronte alla casa del catenarolo sorgeva un edificio dove ebbe sede fin dal 1585 la Compagnia del Porto Naviglio; conteneva un oratorio dedicato al SS. Crocifisso, ampliato nel 1632 con una chiesa dedicata alla Madonna dei Defunti, che fu completata da Francesco Rambaldi nel 1697.
Sul lato orientale della darsena, all’imbocco col canale Cavaticcio sorgeva sulla riva meridionale l’osteria, attiva dal 1554. Il collegamento con l’altra riva era assicurato da una “pedagna in legno” trasformata in un ponticello in muratura nel 1718.
Tutti gli edifici subirono il processo di decadenza della struttura portuale iniziato con l’avvento della ferrovia, sopravvissero fino al 1934, quando le trasformazioni urbanistiche dovute alla realizzazione della piazza dei Martiri e della via Don Minzoni e l’ampliamento dei viali di circonvallazione cancellarono definitivamente l’impianto del vecchio porto. La darsena fu tombata, ma tuttora esiste sotto il piano stradale, la Dogana e tutti gli edifici addossati alle mura furono demoliti; l’osteria scomparve con gli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
L’unico edificio sopravvissuto è la Salara, il grande magazzino del sale e granaio, che fu anche l’ultimo dei fabbricati costruiti attorno al porto, nel sito dell’antico prato di Magone, a partire dal 1783. Si trattava di un grande edificio a pianta quadrata, con quattro pilastri centrali in modo da dividere lo spazio interno in 9 campate, di 42 piedi di lato e 22 di altezza (m. 16 per un’altezza di m. 8,36). La costruzione della Salara comportò anche l’adattamento dell’antico stradello che dalla via degli Apostoli scendeva alla ripa del gesso. Ma il progetto tanto definitivo non era perchè in corso d’opera, fu richiesta prima la copertura della Salara con 9 volte a crociera, e poi la sopraelevazione della stessa con un ulteriore vano adibito a granaio, per una altezza di piedi 7,56 (m. 2,90 circa), sopraelevazione che comportò la costruzione dei dodici contrafforti laterali che danno all’edificio quel caratteristico aspetto di fortilizio quasi militare, e una immagine di solidità non solo fisica. Entrato in disuso dall’inizio del ‘900, le demolizioni dell’area portuale, iniziate nel 1934, condussero ad un parziale interramento del fabbricato, completato nel primo dopoguerra con la colmata di tutto l’invaso dove furono riversate le macerie delle distruzioni belliche subite dalla zona urbana circostante. Il massiccio impianto murario della Salara resistette a questa parziale sepoltura e i recenti restauri lo hanno riportato totalmente alla luce assieme ad una ampia porzione della antica banchina portuale, la ripa del gesso, che conserva l’originale seliciata, e alle opere basamentali di regolamento e scarico delle acque meteoriche e dei liquami salini. Rimodellato e ripulito lo spazio circostante, l’edificio mostra oggi la sua imponente mole a ricordo dell’antico porto scomparso che costituì una infrastruttura fondamentale per l’economia cittadina dal XVI al XIX secolo. (P. N.)

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L'immagine è stata concessa ad esclusivo scopo di studio al Dipartimento di Discipline Storiche dell'Università di Bologna dai Musei Vaticani che ne detengono il copyright. Non ne è consentita la riproduzione né totale né parziale.

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