ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

CENTRO
«GINA FASOLI»
PER LA STORIA
DELLE CITTA



La città protagonista

Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Appartamenti privati del Papa, Sala Bologna, Pianta prospettica della città, 1575



S. MARTINO MAGGIORE, via Oberdan 23

La chiesa, chiamata in antico S. Martino dell'Aposa dal torrente che le scorreva davanti, fu ricostruita nel 1217 sui resti di un edificio sacro già esistente nel 1221. Quando i padri carmelitani nel 1293 si trasferirono dalla chiesa di S. Nicolò di Carpineta (non lontano da via Capo di Lucca) in città, ottennero dal vescovo Ottaviano Ubaldini la chiesa e la parrocchia ed associarono al culto per il santo vescovo di Tours anche quello della Vergine. Nel 1305 alla chiesa fu assegnato anche il vicino Ospedale di S. Martino dell'Aposa. Divenuto presto insufficiente l'edificio, ne fu deciso l'ampliamento che, iniziato nel 1308, dopo una temporanea interruzione causata da controversie con gli Agostiniani di S. Giacomo Maggiore, si conclusero intorno alla metà del secolo, anche se si ha notizia di gravi danni subiti nel 1359 a causa di un'eccezionale nevicata. Nel 1362 la fama di cui già godeva il sacro complesso aumentò ulteriormente per l'istituzione di uno Studio Teologico, che fu incorporato nello Studio bolognese quando venne istituita la Facoltà Teologica. Imponenti lavori caratterizzarono la seconda metà del secolo seguente, grazie ai quali il convento fu ingrandito ed arricchito da chiostri che raggiunsero il numero di cinque. Naturalmente questi interventi comportarono un riassetto urbanistico e la scomparsa del labirinto di strade e vicoli che caratterizzavano la zona circostante. Tra il 1491 e il 1496 la chiesa fu ristrutturata sotto la direzione di Giovanni da Brensa, che aggiunse all'edificio una nuova campata prolungandone il fronte fino all'allineamento attuale e consentendo la costruzione delle due cappelle Boncompagni e Paltroni a lato della facciata. In quell'occasione fu coperto il torrente Aposa che, come si è detto, scorreva davanti alla chiesa e ne consentiva l'accesso tramite un ponte di legno. Nel 1504 infine si atterrarono alcune case per creare il sagrato antistante, dove nel 1704 fu eretta la colonna con la statua della Beata Vergine del Carmine, di Andrea Ferreri, che tuttora si conserva. La facciata odierna di S. Martino, realizzata nel 1879 dall'arch. Giuseppe Modonesi, è una fredda imitazione delle precedenti linee gotiche, così come è moderna anche l'immagine di S. Martino a mosaico nella lunetta del portale. Ampiamente ristrutturati sono stati i fianchi e l'abside, dove pochi sono i resti originari della decorazione trecentesca. Nella lunetta del portale laterale, su via Marsala, resta l'altorilievo in cotto dorato su fondo azzurro con S. Martino che cede il mantello al povero, attribuito a Francesco Manzini (1531). Adiacente alla navata sinistra della chiesa si articola il chiostro cinquecentesco a due ordini, unico superstite dei cinque originari, costruito da Giovanni da Brensa e detto dei Morti, poiché fino all'introduzione delle leggi napoleoniche vi trovarono sepoltura religiosi e laici. Ancora vi si conservano lapidi e monumenti sepolcrali di epoche diverse insieme a frammenti decorativi in cotto appartenenti all'antica chiesa. L'interno conserva sostanzialmente intatte le forme gotiche. La chiesa, a tre navate e tre absidi quadrate, è scandita da pilastri cruciformi su plinti di base che, prolungandosi, sviluppano le nervature della volta. Lungo le navate minori si susseguono cinque cappelle per parte. In S. Martino nel corso dei secoli e soprattutto nel periodo di massima influenza politica e culturale dei Carmelitani, furono attivi gli artisti più qualificati e all'avanguardia che Bologna potesse vantare. A Girolamo da Carpi si deve la tavola dell'Adorazione dei Magi sull'altare della cappella Boncompagni, la prima a destra, costruita dopo il prolungamento della facciata trecentesca e passata nel 1529 sotto il giuspatronato della famiglia. Proseguendo lungo la navata, si possono ammirare affreschi del XIV secolo su una colonna, una tela di Girolamo Taraschi (1588) nella quarta cappella, dove emerge sulla parete sinistra una splendida Madonna col Bambino di Lippo di Dalmasio. Nel pilastro seguente si impone un drammatico frammento della Crocefissionedi Vitale da Bologna (XIV secolo), e nella cappella successiva la Vergine col Bambino tra Santi di Amico Aspertini (1474-1552). Nella cappella della Madonna del Carmine, trasformata nel 1753 dal Torreggiani, ai quadri del Sementi e del Tiarini si unisce la statua in legno della Vergine, scolpita nel 1644 dal Borgognone e dipinta dal Guercino. Nella zona absidale si segnalano l'ancona dell'altar maggiore, di Andrea Formigine, l'imponente organo, eseguito nel 1556 dal Giovanni Cipri ed i pregevoli dipinti quattrocenteschi nella cappella del Battistero. Nella navata opposta emerge per i richiami all'architettura toscana, la prima cappella, già di giuspatronato della famiglia Paltroni prima e Marescotti poi, dove restano testimonianze di altissimo valore, quali i dipinti dell'altare di Francesco Francia e di Amico Aspertini, una statua di Madonna col Figlio di Jacopo della Quercia e, sulla parete destra, una Natività dipinta nel 1437 da Paolo Uccello, qui trasferita dalla sagrestia. Nelle cappelle seguenti si conservano tavole di Bartolomeo Cesi, il S. Girolamo dipinto nel 1591 da Lodovico Carracci e la tavola con l'Assunzione della Vergine, attribuita a Lorenzo Costa (1506). A capo della navata, infine, vi è l'affresco della Madonna che allatta di Simone de'Crocefissi. Recenti restauri hanno riportato alla luce frammenti superstiti di una straordinaria e grande composizione affrescata, già emersi nell'Ottocento, sulla parete sinistra tra la porta che immette nel chiostro e l'ingresso monumentale della sagrestia. Gli affreschi, rovinati nel 1538 per aprirvi la porta al chiostro e per inserire nel muro le lapidi sepolcrali di Valerio Ringhieri e Filippo Beroaldi, che sono state attribuite a Vitale da Bologna. Altre pregevoli opere d'arte sono conservate anche nella sagrestia, l'ampia cappella rinascimentale affrescata da Paolo Uccello e trasformata in forme barocche nel 1624. All'immagine dell'Eterno Padre della cimasa dell'altare, variamente attribuita a Guido Reni e ad Annibale Carracci, fanno corona le tele del Carboni (La Crocefissione della pala dell'altare), del Tibaldi, del Calvaert e di Ludovico Carracci. La chiesa di S. Martino, insignita dal 1941 col titolo di basilica, conserva altri innumerevoli tesori anche negli ambienti del convento ed è per questo uno dei complessi monumentali più importanti ed interessanti della città. (P. P.)

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In alto:
Chiesa di S. Martino Maggiore. Vista zenitale (Microsoft Virtual Earth)


A destra:
Chiesa di S. Martino Maggiore. Ripresa da ovest con angolazione di 45° (Microsoft Virtual Earth)

L'immagine è stata concessa ad esclusivo scopo di studio al Dipartimento di Discipline Storiche dell'Università di Bologna dai Musei Vaticani che ne detengono il copyright. Non ne è consentita la riproduzione né totale né parziale.

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