ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

CENTRO
«GINA FASOLI»
PER LA STORIA
DELLE CITTA



La città protagonista

Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Appartamenti privati del Papa, Sala Bologna, Pianta prospettica della città, 1575



S. NABORRE E FELICE, via dell'Abbadia

Chiesa e monastero. La chiesa, indicata comunemente come La Badia ed oggi incorporata nell'Ospedale Militare, è forse una delle più antiche sedi del Cristianesimo bolognese.
Posta a lato della via Emilia, nel suburbio occidentale della città romana, sorse in area cimiteriale e accolse le tombe dei primi vescovi bolognesi: i corpi del protovescovo Zama e del suo successore Faustiniano fino al 1710 si conservavano nella chiesa in un sarcofago antico che, dopo molte peregrinazioni, si trova ora nel giardino adiacente il fianco meridionale del complesso di S. Stefano.
L'edificio, ritenuto a lungo senza fondamento la cattedrale paleocristiana della città, sarebbe stato restaurato ed ampliato dal vescovo Faustiniano, e di nuovo ristrutturato agli inizi del V secolo dal vescovo Felice, milanese di nascita, e dedicato ai martiri Naborre e Felice, molto venerati dalla Chiesa di Milano, dalla quale Bologna dipendeva allora ecclesiasticamente.
Anche Felice venne sepolto qui e godette di tale venerazione che la chiesa assunse il suo nome, così come quel tratto di via Emilia che collega via Ugo Bassi alla omonima Porta S.  Felice.
Nulla resta di questa suppposta, antichissima cattedrale che, sempre stando alla leggenda, gli Ungari avrebbero incendiato nel X secolo, determinandone il trasferimento in città, dove sorge l'odierna cattedrale di S. Pietro. In realtà pare che gli Ungari non abbiano mai toccato Bologna: è quindi necessario abbandonare la leggenda, verificare le fonti e illustrare la storia.
Fin dall'età romana la località ospitava una necropoli: è verosimile quindi che essa sia stata scelta come luogo di sepoltura dai vescovi locali, sulle cui tombe sorse probabilmente un edificio cimiteriale.
I primi riferimenti sicuri risalgono a dopo il Mille, quando vi si installò una comunità di monaci Benedettini, che determinò la fine del degrado che caratterizzava questa zona, indicata dai documenti con l'espressione civitas antiqua destructa. I monaci, nel generale clima di ripresa edilizia della città, costruirono nel lineare e severo stile romanico-padano dell'epoca una chiesa a tre navate e tre absidi, in laterizio, una cripta sotto il presbiterio, il monastero con relativo, piccolo chiostro.
Tra le sue mura Graziano di Chiusi scrisse il suo famoso Decretum, che concilia diritto civile e diritto canonico: lo ricorda una lapide tuttora conservata che gli dedicò Bartolomeo Raimondi, abate dal 1371 al 1392, che provvide alla ricostruzione del chiostro ed aggiunse sul lato meridionale della chiesa la sagrestia ed il campanile.
Nel XV secolo inizia la decadenza dell'Abbazia, coinvolta nelle lotte civili che travagliavano allora la città. Eretta in commenda nel 1431 ed affidata per breve tempo ai Benedettini di S. Giustina di Padova, fu soppressa nel 1506 da Giulio II, che destinò il monastero a lazzaretto.
Fa parte del complesso anche un imponente chiostro del XV secolo.
Il complesso visse una nuova vita con l'arrivo, nel 1512, delle Clarisse. L' abbadessa Giacoma Gozzadini ottenne per breve apostolico di Giulio II la proprietà della chiesa, case, orto, prato e cimitero, con l'obbligo di mantenere il parroco della chiesa, ma non venne in possesso dei beni che erano stati destinati alla costituzione di un ospedale per appestati. Il monastero, per quanto non privo di proprietà immobiliari, ebbe inizialmente scarse risorse economiche, anche in considerazione del continuo incremento delle monache. Nell'ultimo quarto del secolo XVI esso contava infatti un centinaio di professe. Le Clarisse intervennero con una serie di restauri, eseguiti secondo il gusto dei tempi, conferendo alla chiesa l'aspetto che ancora mantiene.  L'edificio fu modificato, alzando il pavimento e soprelevando i muri perimetrali romanici, e dotato di cupola; la cripta, isolata dalla chiesa, divenne una cappella interna al monastero, ed al campanile fu aggiunta la cella campanaria.
Nel tormentato periodo della soppressione napoleonica, il monastero, aggregato dal 1683 alla vicina chiesa di S. Maria della Carità, fu soppresso e ridotto prima a caserma, poi ad Ospedale Militare. Nel 1817 divenne di nuovo lazzaretto e nel 1822 casa di correzione, per ritornare definitivamente, dal 1868, Ospedale Militare.
La cripta, che mantiene l'originario aspetto romanico, ora è nuovamente collegata alla chiesa. In origine era parzialmente interrata e riceveva luce dalle monofore absidali, oggi chiuse da alabastri. Un sistema di illuminazione artificiale crea l'illusione della luce solare. E' del tipo ad oratorio, comune in epoca romanica, cioè a forma di basilichetta, con pareti di mattoni a vista, tre absidiole e tre navate (quella centrale è a sua volta tripartita in navatelle) e volte a crociera con tracce di affreschi secenteschi.
Nel gruppo delle quattordici colonnine isolate, emergono quattro capitelli corinzieschi, coevi alla cripta, ornati da motivi geometrici stilizzati, che trovano confronti con sculture di altri edifici romanici emiliani, tra cui l'Abbazia di Nonantola.
L'altare al centro dell'abside maggiore è costituito da un'antica lastra sorretta da cinque colonnine con basi diverse tra loro, che si ritiene provengano dallo scomparso chiostro dei Benedettini. Tre recano capitelli di tipo corinzio con vistosi pulvini e schematiche decorazioni vegetali; il quarto presenta un capitello con figure angolari di aquilotti sormontati da teste di belve, che ritornano nella cripta dell'Abbazia di Nonantola ed in edifici romanici bolognesi (Galleria del S. Sepolcro e cripta di Martino nel complesso di S. Stefano, Abbazia di S. Lucia di Roffeno...). Il quinto sostegno, al centro del lastrone, ha sezione ellittica ed un capitello con foglie a palmetta tra volute fitomorfe. A questi capitelli si avvicinano per stile e tipo di ornato alcuni frammenti erratici di sculture architettoniche conservati all'ingresso della cripta. (P.P. e G. Z.)

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In alto:
Abbazia dei Ss. Naborre e Felice. Vista zenitale (Microsoft Virtual Earth)


A destra:
Abbazia dei Ss. Naborre e Felice. Ripresa da ovest con angolazione di 45° (Microsoft Virtual Earth)

L'immagine è stata concessa ad esclusivo scopo di studio al Dipartimento di Discipline Storiche dell'Università di Bologna dai Musei Vaticani che ne detengono il copyright. Non ne è consentita la riproduzione né totale né parziale.

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